LOCAZIONE AD USO ABITATIVO – Le novità introdotte dalla legge di stabilità 2016 – Obblighi del locatore e norma salva inquilini
La legge di stabilità 2016, all’art. 1 comma 59, introduce importanti novità in materia di contratti di locazioni ad uso abitativo, modificando parzialmente l’art. 13 della L. 431/1998, intitolato “Patti contrari alla legge”.
La norma in esame ha innanzitutto modificato il primo comma dell’art. 13 L. 431/98, introducendo l’obbligo del locatore di procedere alla registrazione del contratto, entro il termine perentorio di 30 gg. dalla stipula nonché di darne “documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130, numero 6), del codice civile ”.
Dunque, fermo restando il fatto che dinanzi al fisco entrambi i contraenti sono e rimangono coobbligati, l’onere di provvedere alla materiale registrazione del contratto viene fatto ricadere sul locatore, il quale dovrà provvedervi nel termine perentorio di 30 gg.
La norma, pur qualificando il suddetto termine come perentorio, nulla dice a proposito degli effetti conseguenti all’inutile decorso dello stesso. In mancanza di tale prescrizione si ritiene che i futuri maggiori costi fiscali del contratto, costituiti dalle sanzioni, debbano farsi ricadere sul medesimo locatore responsabile.
L’ulteriore importante riforma introdotta dalla legge di stabilità riguarda l’introduzione del nuovo comma 5 dell’art. 13 che adesso prevede: “Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall’articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato”.
La disposizione in esame è stata già battezzata “norma salva inquilini”, ma per comprenderne la portata è opportuno ripercorrere brevemente l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che l’ha preceduta.
L’art. 3 del D.Lgs. 14.03.2011 n. 23, titolato “cedolare secca sugli affitti”, aveva introdotto una particolare disciplina relativa ai contratti di locazione, comunque stipulati, non registrati entro il termine previsto dalla legge.
Invero, al comma 8 del suddetto articolo era previsto che in detti casi: “a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti”.
Il successivo comma 9 aveva previsto che “Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio”.
Le disposizioni in esame avevano provocato un’allettante occasione per gli inquilini di vedersi ridotto il canone di locazione in misura davvero consistente, oltre alla possibilità della stabilizzazione del contratto, per il periodo di quattro anni dalla registrazione.
La norma, tuttavia, pur avendo ricevuto molteplici adesioni ed applicazioni da parte dei soggetti interessati, trovava una prima importante disapplicazione da parte dei giudici di merito, che la tacciavano di incostituzionalità.
Invero, il conflitto appariva da subito evidente tra la norma in esame e le disposizioni in materia previste dal codice civile e, più in generale, dallo Statuto del consumatore. Ci si chiedeva, infatti, in che modo si potesse generare una sostituzione della volontà negoziale delle parti con un atto impositivo, proveniente dalla pubblica amministrazione, nonché come si sarebbe dovuta raccordare la norma in esame con quella prevista dall’art. 10, comma 3, ultimo periodo, dello statuto del consumatore che testualmente prevede: “Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
La Corte costituzionale, investita della questione, non tardava ad intervenire e, con sentenza del 14.03.2014 n. 50, decretava l’incostituzionalità delle disposizioni in esame.
Le ripercussioni sui rapporti in essere non erano di poco conto!
Gli inquilini che applicando la disciplina contenuta nelle sopra richiamate disposizioni avevano ottenuto la riduzione del canone, si ritrovavano a dover fronteggiare gli effetti dirompenti della sentenza della Consulta, con conseguenti dichiarazioni di risoluzione dei contratti, ordinanze di rilascio di immobili o, addirittura, sfratti per morosità convalidati.
A questo punto il legislatore interveniva a tentare di sanare gli effetti della sentenza e con l’art. 5, comma 1-ter, del D. L. n. 47/2014, introdotto dalla legge di conversione n. 80 del 23 maggio 2014, statuiva che “Sono fatti salvi fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.
La norma di salvaguardia non convinceva e, sulla base di due ordinanze di rimessione emesse dal Tribunale di Napoli, con sentenza n. 169 del 2015, la Corte Costituzionale ne dichiarava l’illegittimità.
Orbene, la norma introdotta dalla legge di stabilità 2016 ripropone nuovamente la questione, tentando, per l’ennesima volta, di sanare gli effetti già prodottisi a seguito dell’applicazione dell’art. 3 commi 8 e 9 del Dlgs 23/2011.
Anche in questo caso, tuttavia, non sembra superato uno dei motivi di incostituzionalità che aveva portato alla censura della precedente norma salva inquilini e che è riassumibile leggendo un breve stralcio della sentenza della Consulta, da ultimo menzionata; “… E se, perciò, certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, è senz’altro da escludere che possa legittimamente farlo – come avvenuto nella specie – limitandosi a “salvare”, e cioè a “mantenere in vita”, o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale, non sono più in grado di produrne. Il contrasto con l’art. 136 Cost. ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale. In altri termini: nel mutato contesto di esperienza determinato da una pronuncia caducatoria, un conto sarebbe riproporre, per quanto discutibilmente, con un nuovo provvedimento, anche la stessa volontà normativa censurata dalla Corte; un altro conto è emanare un nuovo atto diretto esclusivamente a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l’efficacia di norme che «non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» …”
A questo punto, dunque, prima di invocare in giudizio l’applicazione della norma in esame per chiedere “finalmente” la tutela degli inquilini, è lecito chiedersi se anche il nuovo comma quinto dell’art. 13 L. 431/1998 non debba essere considerato affetto da gravi vizi di incostituzionalità e se il legislatore abbia correttamente interpretato il monito della Corte Costituzionale, riguardo alla violazione dell’art. 136 della Costituzione.
Infine, ci si chiede quali strumenti processuali consentiranno l’applicazione della nuova norma rispetto ai giudizi ancora pendenti ed a quelli definiti con sentenza passata in giudicato.
Il dato certo è che quest’ennesima novità contribuirà a fare aumentare in modo significativo il contenzioso sul tema, senza dare alcuna certezza agli operatori del diritto circa i possibili esiti applicativi di lungo termine.
Avv. Dario Vitrano
IL NUOVO TESTO DELL’ART. 13 L. 431/1998
Art. 13. (Patti contrari alla legge).
- E’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. E’ fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130, numero 6), del codice civile.
- Nei casi di nullità di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato.
- E’ nulla ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente legge.
- Per i contratti di cui al comma 3 dell’articolo 2 è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie. Per i contratti stipulati in base al comma 1 dell’articolo 2, è nulla, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito.
- Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall’articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato.
- Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi all’autorità giudiziaria, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è, altresì, consentita nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. Nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il giudice determina il canone dovuto, che non può eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati. L’autorità giudiziaria stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti.
- Le disposizioni di cui al comma 6 devono ritenersi applicabili a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall’entrata in vigore della presente legge.
- I riferimenti alla registrazione del contratto di cui alla presente legge non producono effetti se non vi è obbligo di registrazione del contratto stesso.